Un'altra ricca testimonianza scritta a 4 mani da Sara Ravagnan e Matteo Benato, rispettivamente Mentor - Mentee della 6° Edizione di Mentor&Me. Grazie agli autori per averla condivisa.
Buona Lettura!
Cosa pensano i/le nostri/e Mentor della costruzione di un progetto professionale dentro e fuori il mondo accademico?
Quali sono le competenze trasversali che ci rendono interessanti e appetibili agli occhi dei/lle recruiter?
Quali sono gli elementi ricercati dalle nuove generazioni nelle proposte di lavoro da parte delle imprese?
Abbiamo chiesto questo ed altro a Giuseppe Aceto, Renato Azzarà e Giulia Maschio in questa intervista: Five minutes with
Quando il tuo lavoro dipende da quanto sai parlare con le persone, impari molto sul modo di fare conversazione. La maggior parte di noi non conversa poi così bene.
Celeste Headlee ha lavorato come intervistatrice radio per decenni e conosce gli ingredienti per un'ottima conversazione: onestà, concisione, chiarezza e una sana dose di ascolto.
In questo intervento illuminante, condivide 10 utili regole per avere una conversazione migliore. "Uscite, parlate con le persone, ascoltatele", dice, "e, soprattutto, preparatevi a stupirvi."
Il Mentor Thomas Rossetto e la Mentee Ilona Mereuta della 4° Edizione, hanno voluto condividere la loro esperienza legata al progetto con il nostro staff, riportando la loro testimonianza in questo breve racconto che con piacere abbbiamo pubblicato, in quanto ben rappresenta il senso del progetto.
La capacità di ascolto attivo si esercita molto nella relazione di mentoring, per questo condividiamo questo articolo in cui si evidenzia come diventare dei great listener.
Solitamente pensiamo che un buon ascoltatore debba:
1. Non parlare quando parlano gli altri
2. Far sapere agli altri che sta ascoltando attraverso le espressioni facciali e i suoni verbali di assenso (”Mmm-hmm”)
3. Riuscire a ripetere quello che gli altri hanno detto, più o meno parola per parola.
Ma siamo certi che i “great listener” facciano solo questo?
Ringraziamo il mentor Mauro Tiraboschi per averci segnalato questo articolo.
Un'efficace testimonianza di come il programma di mentorship possa cambiare la vita ad una persona e di come un atteggiamento proattivo da parte del/la mentee nei confronti del/la proprio/a mentor sia determinante nella buona riuscita del rapporto.
L'articolo completo è disponibile qui.
La coppia Mentor - Mentee della 3° Edizione, composta rispettivamente da Giorgio Andrian e Maria Chiara Camporese, ha voluto condividere la sua esperienza con lo Staff di Mentor&ME e riportare la propria testimonianza attraverso un breve articolo scritto a quattro mani. Da questa testimonianza emerge l'importanza di fare rete e di costruire un network di relazioni professionali sin dalle prime fasi di transizione dal mondo accademico al mercato del lavoro.
Buona Lettura!
Secondo l'analisi di Alteredu citata in questo articolo "Oltre all’imperativo di formarsi e rimanere aggiornati sulle tendenze del mercato del lavoro, il professionista del futuro dovrà fare attenzione ad acquisire alcune competenze “soft” specifiche quali il personal branding, la curiosità, il networking e l’empatia."
Capacità di adattamento, comunicazione digitale e remote management sono, invece, considerate le competenze fondamentali da sviluppare per affrontare in modo adeguato uno scenario che, nei mesi a venire, sarà verosimilmente ancora molto impattato dalla pandemia.
Nell’era dell'algoritmo l’iperspecializzazione sta diventando un limite, perché la migliore iperspecialista di sempre è l’intelligenza artificiale. E lo diventerà sempre di più, lasciando al palo milioni di professionisti umani. L’interdisciplinarietà è, invece, ciò che contraddistingue i protagonisti dei nostri tempi, i cosiddetti “contaminati”. Persone che abitano spazi dove gli algoritmi si muovono a fatica: i ponti e i link inaspettati. Per questo le loro qualità sono sempre più richieste nelle aziende. I contaminati sviluppano alcune capacità peculiari: sanno apprendere per propagazione, hanno una predisposizione a prendere decisioni in situazioni complesse, sono in grado di generare ponti tra gruppi diversi e culture lontane e, infine, sanno dare maggior spazio alla creatività.
Continua a leggere l'articolo completo qui.
La trasformazione digitale non è solo un fattore di cambiamento tecnologico ma un paradigma che interessa trasversalmente tutta l’organizzazione aziendale. I manager HR sono portati a focalizzarsi sempre di più su tematiche quali employer branding e gestione dei talenti, con una particolare attenzione verso quell’esigenza di flessibilità, a livello di modelli organizzativi e flussi di lavoro, oggi rappresentata in buona parte dall’attivazione di progetti di smart working. Lo scenario che emerge dalla ricerca «Future of work and HR Tech 2020» indica che se lo smart working viene ancora indicato come prima priorità fra le iniziative da introdurre in ambito risorse umane (lo conferma il 64% delle risposte), immediatamente dietro e in forte crescita troviamo le voci welfare e performance management (indicate dal 60% dei rispondenti) e il digital learning (57%).
In Italia se ne sente sempre più spesso parlare, e l’attenzione verso modalità di lavoro “smart” sta crescendo, soprattutto in questo periodo concitato per cercare di ridurre il più possibile le fonti di contatto. Tuttavia capire il significato dello Smart Working non è immediato e nemmeno così intuitivo ma allo stesso tempo il clamore e il ricorso verso questa modalità continua ad aumentare.
Secondo i risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano il 58% delle grandi imprese ha già introdotto iniziative concrete.
Attraverso le testimonianze e il feedback dei Mentor e dei Mentee che hanno preso parte alla prima Edizione del Progetto Mentor&Me potrai scoprire quali sono le potenzialità di questo percorso che mette in contatto giovani studenti e neolaureati con Esperti Professionisti.
Può sembrare efficiente, nel breve termine, focalizzarsi su una cosa sola – per dirla con Gary Keller autore dell’omonimo libro – ma potrebbe rivelarsi una pessima idea nel momento in cui quella cosa non ci piaccia più o non piaccia più al mercato. L'efficienza, insomma, può trasformarsi in un problema perchè ignora le prospettive temporali.
Efficace nel tempo, non efficiente sul momento. E forse è qui che sta la difficoltà. In italiano, ma accade anche in inglese, i termini efficace ed efficiente si assomigliano troppo.
Efficace però sta a significare il verificarsi di “un effetto voluto”. Efficiente indica semplicemente il verificarsi di un “effetto”. Efficace è incisivo. Efficiente è produttivo.
Come tutti i settori della comunicazione, anche il mondo degli eventi negli ultimi anni è stato oggetto di trasformazioni e cambiamenti. È un mercato che si evolve sulla spinta delle innovazioni tecnologiche, della cultura, del costume, ed è soggetto a mode come tutto quello che intermedia e agisce nel rapporto fra gli esseri umani e la loro necessità di comunicare.
Per un certo periodo si è parlato con insistenza di eventi ibridi. Inizialmente non si capiva bene di cosa si trattasse, per la verità non è che lo sapessero anche i cosiddetti esperti. Sull’onda di una spinta evolutiva non si bene a quale titolo, si è cercato di ibridare qualcosa che non è ibridabile. Il desiderio compulsivo era di inserire la tecnologia e i social negli eventi con l’obiettivo che diventassero più efficaci e dinamici, senza considerare il fatto che un evento è qualcosa che vive “live” e quindi qualsiasi cosa vi si voglia aggiungere non ne cambia o migliora la natura.
La sfida del colloquio di lavoro per un selezionatore è essenzialmente quella di predire il comportamento di una persona intuendo dalle sue risposte il suo approccio mentale alla gestione dei problemi. Che il candidato abbia 25 anni o 60 uno degli aspetti che più chiaramente emerge nel corso dell’intervista è il suo posizionamento all’interno del continuum «dipende da me/non dipende da me».
Questo aspetto è fondamentale oggi perché il mondo del lavoro a tutti i livelli, in tutti gli ambiti e settori, non premia più i meri esecutori, ma premia coloro i quali provano a forzare lo status quo, a sperimentare nuove soluzioni, a produrre un impatto di cambiamento sugli altri. Detto in una parola premia gli intraprendenti. E non si può intraprendere alcunché se non partendo da un atteggiamento mentale di autostima e fiducia in se'.
Da cosa dipende il nostro posizionamento lungo il continuum «dipende da me/non dipende da me?».
Nell’epoca della post-verità e delle fake news, può essere necessario lottare contro le proprie idee per capire quanto valgono davvero. Secondo il filosofo austriaco Karl Popper la scienza non si basa sulla capacità di confermare un’ipotesi, un’idea, un’opinione, una norma. Riguarda invece la capacità di metterla in discussione, di confutarla.
Nelle università e nelle scuole di management di tutto il mondo è molto di moda l’espressione STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics. Sono queste le discipline del futuro, gli ambiti di competenza su cui si devono concentrare i manager di oggi e quelli di domani. Si parla anche di pensiero computazionale: la capacità cioè di pensare come un informatico, in modo algoritmico, scomponendo problemi complessi in singole parti, più gestibili se affrontate una alla volta. In Italia l’identikit del manager perfetto è completato dalla conoscenza perfetta dell’inglese (e magari di un’ulteriore lingua straniera) e dalle cosiddette soft skills, le capacità creative, decisionali e di interazione efficace con gli altri. A questo quadro tuttavia manca qualcosa, una competenza fondamentale che essendo stata sempre data per scontata non è mai entrata nel radar della formazione manageriale: la piena padronanza della lingua italiana.
Le competenze sono sia quantitative che qualitative. Quelle quantitative, o hard skills, sono misurabili e possono essere espresse, per la gran parte, con dei numeri. Quelle qualitative, dette soft skills, sono anch'esse misurabili ma non necessariamente con mezzi quantificabili. Si tratta per lo più di atteggiamenti personali come empatia, flessibilità, capacità decisionale, affidabilità.
Definire, valutare e misurare l'impatto delle soft skills è un compito molto difficile.
Cos'è in fondo il talento? Se concordiamo sul fatto che il talento tra le altre cose possa essere interpretato come la capacità di ridurre ogni giorno la distanza tra quello che facciamo e quello che siamo, beh! allora la prospettiva di un approccio radicalmente diverso (ma non per questo necessariamente nuovo e inedito per il mondo delle aziende) per l’emersione e la realizzazione del talento va assolutamente rivalutata e ripresa in considerazione.
Il rischio che le skill attuali risultino per lo più insufficienti per molti lavori del futuro, di cui sono consapevoli tutti (o quasi) i responsabili HR, è grande e non ha soluzioni alternative alla riqualificazione delle risorse...
Da uno studio recente di McKinsey («A Future That Works: Automation, Employment, and Productivity») emerge che il 49% delle attività lavorative a livello globale potrebbe essere automatizzato con l’ausilio della tecnologia entro il 2055.
Dall’intervista a David Clutterbuck, uno dei pionieri del settore, co-fondatore dello European Mentoring & Coaching Council che nell’arco di tre decenni ha scritto 70 libri in proposito.
“Sappiamo che i mentor efficaci parlano per meno del 20% del tempo. Il loro punto di forza, però, sta semplicemente nel dire quel tanto che basta affinché le altre persone si mettano a riflettere….”
Il “profilo” dei nativi digitali che emerge da uno studio indipendente realizzato da Dimensional Research per conto di Dell Technologies è un’immagine in chiaroscuro, brillante per alcuni aspetti e densa di ombre per altri.... La conoscenza approfondita delle potenzialità che può avere la tecnologia per trasformare il modo in cui si svolge la propria professione e si vive è sicuramente l’elemento caratterizzante dei post-millennial.